segunda-feira, 29 de julho de 2019

Biografia Estróina

A IRMÃ DE VIDA ESTRÓINA
JOAO JOAQUIM 

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.........................Una seconda classificazione concettualizza il disturbo borderline come peculiare organizzazione di personalità: Eisenstein, 1956; Wolberg, 1952; Schmideberg, 1959; Zetzel, 1976; Rinsley, 1978; Meissner, 1978-1983-1984; Bergeret, 1976; e in particolare Kemberg (1975) per il quale la diagnosi di borderline va fatta derivare dall'analisi strutturale della organizzazione personologica. La terza classificazione concettualizza il disturbo borderline come “un'entità clinica indipendente all’interno della più vasta categoria dei disturbi della personalità”. Iniziato con l'indagine di Grinker e coll. (1968) questo indirizzo si è confermato con gli studi di Gunderson e coll. (1978), di Perry e Klerman (1978, 1980) e di Spitzer e coll. (1979) fino ad essere accolto nel DSM-III-R (APA, 1980). Sua specificità è di essere caratterizzato da “rigore nel lavoro quantificatorio di ricerca” (Dazzi e Maffei, 1991, XII). Questi schematici accenni all'evoluzione dei criteri diagnostici del disturbo borderline avvalorano considerazioni che oltrepassano decisamente il semplice problema classificatorio. Il superamento dell'apparente legame della sindrome borderline con la schizofrenia è stato possibile grazie all’adozione di criteri teorici di tipo “molare”: la forza, la debolezza e lo stato delle funzioni dell'Io (Knight, 1953); la formazione strutturale del Sé e l'organizzazione della personalità (Kemberg, 1975); un non molto definito concetto d'identità (Spitzer, 1979). Parlare di teoria di tipo “molare” implica sia il superamento della classificazione basata sulla sola osservazione dei sintomi sia l'esigenza di un referente spiegativo non dipendente dal metodo clinico, ma validato dalla ricerca empirica. Widiger e coll. (1988) hanno affermato, e può essere tranquillamente ribadito oggi, che la codificazione dei disturbi di personalità del DSMIII-R “non rappresentano la parola finale”. Il modello prototipico dell'asse del DSM-III-R, ove le scelte multiple e facoltative dei criteri implicano la consistenza di categorie diagnostiche eterogenee e senza confini distinti (Widiger e coll., 1988) non suggerisce forse l'esigenza di un radicale superamento del modello di categorizzazione classico? Se tutta la patologia fosse riletta alla luce di criteri “molari” quale risulterebbe essere il significato diagnostico e prognostico di una fobia, un'ossessione, un delirio o un'allucinazione? Akiskal e coll. (1985), Stone (1981) e Androulonis (1982; 1984) per avere accentuato il criterio diagnostico affettivo non dimostrano a sufficienza che il problema vero è nella teoria di riferimento e non nell'indagine e negli strumenti diagnostico? Queste domande hanno evidentemente un obiettivo a monte: utilizzare il dibattito sulla sindrome borderline per mettere in luce sia la ristrettezza teorica all'interno della quale esso avviene sia la conseguente necessità di un referente teorico di tipo 'molare”. Il modello di categorizzazione classico è stato almeno in parte abbandonato dallo stesso DSM-III-R. Le teorie cliniche di marca prevalentemente psicoanalitica sono oggi fortemente indiziate nella loro ossatura in quanto costruite solo col metodo clinico. I dati dell’Infant Research, ottenuti col metodo sperimentale, sollecitano da una quindicina d'anni a lavorare per la costruzione di una teoria generale di tipo molare che funzioni tra l'altro anche come criterio di riferimento per la classificazione e l'intervento sulla patologia. Mi permetto per questo di presentare schematicamente quella che chiamerò la teoria unitaria del Sistema. Essa poggia sui dati empirici ed ha carattere “molare”, merita quindi di essere verificata nella sua portata diagnostica e d'intervento. 3 La teoria unitaria mette, al posto della pulsione freudiana e dell'oggetto delle Relazioni oggettuali la tendenza innata dell'organismo umano a costituirsi in sistema unitario. Sappiamo dopo Von Bertalanffy che un sistema è un tutto diverso dalla somma delle sue parti, retto da una causalità di tipo non lineare ma interattiva ossia relazionale sulle due direttrici della morfostasi e della morfogenesi. L'affermazione dell'unitarietà sistemica è obiettivo e motivazione ultima di ogni comportamento. Attingendo all’Infant research possiamo costruire i macromomenti del costituirsi dell'unità del Sistema. Abbiamo due componenti qualitativamente diverse: la Soggettualità o unità diretta, dipendente da coscienza diretta, comune con gli animali e l'Identità o unità riflessa specie specifica dell’essere umano. La soggettualità si attua attraverso il momento esperenziale prevalentemente somatico e il momento d'intesa o sintonizzazione. Questi due momenti sono retti rispettivamente dalla legge della assimilazione-accomodamento e dalla legge della conferma-sconferma. La componente soggettualità del Sistema in quanto tale non può dare luogo a patologia a causa del funzionamento oggettivo delle leggi che ne reggono l'affermarsi. L'Identità si attua, a partire dai 15-18 mesi, attraverso il progressivo emergere della coscienza riflessa. Dobbiamo su questo soffermarci maggiormente. L'attuarsi della coscienza riflessa dà luogo a due momenti cruciali per il configurarsi del Sistema: il primo è dato dall'attuarsi della capacità di cogliere riflessivamente la propria soggettualità, acquisendo questo “cogliersi”, significativo potere d'Identità; il secondo è la richiesta di riconoscimento dell'Identità riflessa così scoperta da parte dell'oggetto significativo. Sembrerebbe che evolutivamente l'appropriazione della propria immagine riflessa non diventi possibile se non mediata dalla conferma, convalida esterna. Mentre la legge che gestisce il momento del cogliere riflessivamente la propria Soggettualità “se questo sono io, io sono questo” è automatica ed inevitabile, più complesso è il momento dell'esigenza di riconoscimento da parte dell'oggetto significativo esterno dell'Identità colta in precedenza. Possiamo ipotizzare due situazioni. Se da parte dell'ambiente viene data una risposta di riconoscimento mediamente positiva il Sistema, in continuità con i momenti evolutivi precedenti, può accedere all'assunzione della propria soggettualità colta riflessivamente e inserirsi nella normale interazione con l'oggetto attingendo a se stesso. Se invece da parte dell'ambiente la risposta di riconoscimento non è mediamente positiva il Sistema nega la non risposta esterna all'esigenza di riconoscimento in quanto causa di sofferenza e disagio e si irrigidisce su una posizione autarchica che acquista una funzione strategico-sostitutiva dell'Identità che avrebbe potuto essere ma non è stata. In altri termini, a conseguenza della non risposta esterna di riconoscimento e dell’irrigidimento sistemico nasce l'inconscio dinamico. Più esattamente nasce la componente inconscia dell'Identità ossia del riferimento unitario riflesso del Sistema. L’inconscio dinamico non riguarda quindi contenuti esterni, ma suo oggetto è sempre e solo l'unita riflessa del Sistema. Il costituirsi di una soluzione inconscia all'imprescindibile bisogno di unitarietà riflessa del Sistema è origine e contenuto della patologia. Le caratteristiche sintomatologiche e la configurazione strutturale varieranno da patologia a patologia ma esse sono come dice Kernberg (1975) solo “segni diagnostici presuntivi”. La diagnosi vera va fatta sul grado di negazione e irrigidimento della configurazione dell'Identità riflessa ossia sulla “quantità” di Identità inconscia

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